
In molti avranno sentito parlare di AI MODE su Linkedin, una nuova modalità di ricerca di Google già attivata negli Stati Uniti ed in vari altri paesi del mondo e attesa in Europa, ed Italia, per la fine dell’anno. Per chi vuole provarla in anteprima è completamente fruibile tramite un collegamento vpn. Vediamo però di cosa si tratta e come cambierà il modo che utilizziamo per cercare informazioni su Google.1

Google Al MODE, già annunciato ufficialmente a partire dal 2025 come un’evoluzione del precedente sistema con
“Al Overviews”, fornisce non più solo un’introduzione automatica ai risultati della ricerca, ma un’esperienza conversazionale e multilivello, che integra in modo profondo modelli generativi (come Gemini), con il “cuore”
tradizionale del motore di ricerca.
Immaginiamo di digitare una domanda complessa su Google, ad esempio:
“Sono a New York in vacanza. Suggeriscimi un ristorante glamour e romantico dove poter andare con la mia fidanzata, ideale per una coppia che vuole anche ballare e divertirsi dopo la cena”.

Invece di restituirti una lista di dieci link da esplorare, oltre ai link sponsorizzati iniziali, Google offre una risposta sintetica, ragionata, articolata, completata da link ulteriori, immagini, riferimenti, e ti invita a continuare con domande di follow-up. Questo è il cuore dell’esperienza che Google chiama AI Mode.
Google definisce AI Mode come la sua “ricerca più potente”, capace di ragionare, supportare input multimodali (testo, voce, immagini), gestire domande articolate e permettere “approfondimenti”, seguendo la logica del dialogo, piuttosto che limitarsi a un risultato statico.
Ma al di là delle promesse ufficiali, cosa cambia per chi lavora con il digitale, col contenuto, con il marketing, con l’ottimizzazione SEO? E quali sono i rischi, le incognite e le strategie che emergono?
Il meccanismo query fan-out
Uno degli aspetti più centrali, e meno intuitivi di AI Mode è ciò che Google chiama query fan-out. Invece di interpretare la domanda dell’utente come un unico insieme di parole chiave e restituire una risposta o una serie di documenti, l’algoritmo suddivide la domanda in tante micro-domande correlate, che esplora simultaneamente.
Se chiedi “vacanza in famiglia in Francia”, l’algoritmo potrebbe generare sotto-ricerche come “tour per famiglie in Francia”, “voli economici per famiglia in Francia”, “attrazioni per bambini in città francesi”, “hotel kid-friendly”, e così via. Ogni micro-ricerca attinge a fonti diverse e ritorna pezzi di conoscenza che vengono composti in una risposta organica.
Questo approccio ha effetti non banali per chi produce contenuti. Prima, l’obiettivo era posizionarsi per una parola chiave X. Con il fan-out, un contenuto rischia di essere “citato” nei risultati senza mai essere cliccato, perché la risposta finale (mezza conversazione, mezza sintesi) può essere auto-sufficiente. In altre parole, il sito può contribuire alla risposta dell’AI senza essere il luogo visitato dall’utente. Già con AI Overviews si sono registrate diminuzioni importanti di click-through rate (CTR). Vari siti riferiscono cali di visibilità del 20-40 %, rispetto alla ricerca classica ed ognuno che ha un sito può “leggere” i propri dati e vedere cosa sta succedendo.
In più, Google non rivela esattamente quali sottoquery genera: non sappiamo quali diramazioni del fan-out portino al successo, né quanto peso abbia ciascuna. Questo rende quasi impossibile una strategia SEO tradizionale basata su parole chiave strettamente definite. È come se l’algoritmo stesse operando in un territorio oscuro, dove gli stessi costrutti semantici che un copywriter ritiene centrali vengono smistati in mille rivoli interni, senza visibilità diretta.
Per il marketer questo significa che la pertinenza tematica e la profondità (non solo la densità delle parole chiave) diventano essenziali: serve costruire contenuti ricchi di relazioni concettuali, con coerenza interna, collegamenti interni robusti, e un approccio orizzontale al tema piuttosto che verticale e settoriale.
Il rischio dell’asservimento al motore di ricerca
Quando Google AI Mode inizia a rispondere alle domande degli utenti direttamente nella pagina, con risposte discorsive, approfondite, visuali, si crea il rischio che l’utente non abbia più motivo di lasciare Google. Se la risposta è percepita come esaustiva, il clic verso il sito esterno diventa residuale. Questa tensione è già emersa con AI Overviews, dove i classici dieci link blu sono progressivamente “declassati” sotto la risposta generata. Ora, con AI Mode, Google sembra voler portare questa logica ancora più avanti.
Come risposta all’uso dei vari chatgpt, claude ecc, Google tiene dentro l’utente per evitare che lo stesso vada a rimanere dentro agli altri!
Inoltre Google diventa al tempo stesso motore neutrale e creatore di contenuti, perché la risposta generativa è proprietà del suo algoritmo.
L’associazione che rappresenta i “grandi editori” ha reagito duramente: secondo loro l’AI Mode priva gli editori del traffico e del ricavo e rappresenta un uso arbitrario dei contenuti altrui. In altre parole, progredendo verso un modello in cui Google risponde per tutti, gli editori perdono una leva fondamentale del loro ecosistema economico.
Verso una ricerca agentica
Google non si ferma alla risposta sintetica: l’obiettivo dichiarato è che l’AI possa anche agire per conto dell’utente, eseguendo passaggi concreti (booking, comparazioni, compiti multipli). Questa dimensione “agentica” è in sperimentazione e in alcuni casi già attiva in modalità sperimentale.2
Se il sistema può prendere in carico un compito complesso, ad esempio prenotare un ristorante, suggerire un itinerario e attuare correzioni in base a vincoli, diventa un assistente che va oltre la mera ricerca. Google parla infatti di agentic capabilities integrate in AI Mode, ma ancora limitate a utenti premium (negli Stati Uniti) e sperimentali tramite Search Labs.

Dietro il sipario di queste funzioni c’è un progetto interno che in parte le supporta. denominato Project Mariner: un prototipo di agente web che, dato un obiettivo (es. trova voli per Tokyo, prenota hotel, noleggia auto), può navigare il web per conto dell’utente, interfacciandosi con siti, compilando moduli e trasformando un intento astratto in un’azione concreta.
Mariner è attualmente riservato a una fascia ristretta di utenti, ma la sua integrazione con Gemini e AI Mode suggerisce che Google stia testando una transizione verso un modello browser + agente incorporato. Una sorta di risposta a Instant Checkout di Chatgpt viene da dire.
Se questa transizione dovesse concretizzarsi, il digital marketer non si troverebbe più a competere solo su visibilità o traffico, ma su capacità di essere selezionato dall’agente, di essere parte del motore decisionale interno all’AI. Divenire opzionale nel flusso dell’agente, con servizi, API, partnership, interfacce programmatiche, potrà diventare più importante dell’ottimizzazione testuale fine a sé stessa.
SEO nell’era di AI Mode: nuove metriche, nuovi criteri
Con AI Mode il tradizionale paradigma SEO (parole chiave, link, titoli, meta descrizioni) non basta più. Le linee guida di Google affermano che non esistono requisiti speciali per apparire in AI Mode, che l’approccio rimane quello di offrire contenuti utili, affidabili e ben strutturati.3 Ma ciò che “utile” significa, in un contesto in cui l’algoritmo può scegliere di sintetizzare piuttosto che rimandare, è ben diverso da prima.
Innanzitutto, il concetto di E-E-A-T (Experiential, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness) assume un valore difensivo: l’algoritmo ha bisogno di fonti ritenute affidabili, con autorevolezza e credibilità, da cui attingere parafrasi e frammenti da ricomporre. Le aziende che hanno contenuti deboli, generici o poco distintivi, rischiano di essere ignorate del tutto. La competizione si sposta verso la qualità sostanziale: articoli in profondità, posizionamenti logici, contenuti multimediali di supporto, citazioni di fonti autorevoli, casi studio, dati originali.
Poi, dato il meccanismo del fan-out, diventa vitale che un contenuto copra tutto ciò che ruota attorno al tema principale. Una struttura modulare, con sezioni che fungono da risposte autonome (mini‐blocchi di conoscenza indipendenti), consente all’algoritmo di estrarre porzioni utili anche quando l’utente non chiede esattamente ciò che hai scritto come titolo principale. Così, un articolo sulla “cura del giardino” non deve solo parlare di semina, ma includere sezioni su irrigazione, concimazione, protezione piogge, strumenti, gestione stagionale: se l’AI fan-out chiede come irrigare ogni giorno, quel paragrafo può essere selezionato singolarmente per la risposta. In questo articolo sto facendo esattamente questo, non parlo solo di AI MODE ma anche di quello che ne consegue. 🙂
Altrettanto rilevante diventa il concetto di coerenza interna: i riferimenti incrociati, i collegamenti interni, la logica semantica che lega concetti vicini. Se l’AI Mode può saltare tra argomenti correlati (grazie al fan-out), è importante che il testo sia un sistema coerente, non un insieme di pezzi scollegati. Le parole chiave e le varianti semantiche devono essere distribuite senza eccedere, perché l’AI può riconoscerle e collegarle anche se non esplicitate.
Infine, bisogna considerare i dati di visibilità in AI Mode. Google ha già inserito filtri dedicati in Search Console, per vedere impressioni e clic generati da risposte AI. Questo può diventare un indicatore cruciale: non più solo quante visite ho generato, ma quanto sono citato o quante impression generano risposte AI che includono il mio contenuto. Anche se i clic possono essere ridotti, la presenza nella risposta generata può portare vantaggi reputazionali, branding e awareness.

Impatti sul marketing (contenuto, paid, social)
La rivoluzione di AI Mode non riguarda solo il SEO ma investe l’intero ecosistema del marketing digitale. Il contenuto diventa in primo luogo veicolo di cognizione piuttosto che di traffico. Le strategie editoriali dovranno orientarsi a costruire asset modulari, in grado di essere decomposti e ricomposti dall’AI. Le campagne social dovranno fare leva non solo sull’attrazione di clic, ma sul posizionamento nel dialogo AI stesso, convincendo l’algoritmo della propria rilevanza.
Per quanto riguarda la pubblicità, alcuni segnali indicano che Google intende monetizzare l’AI Mode: gli spazi di risposta AI permetteranno posizionamenti pubblicitari contestuali, meno concorrenza sulle impression, ma maggiore qualità per i clic residui.
L’effetto può essere che le campagne PPC tradizionali perdano potenza (meno spazio visibile, minor diversificazione), mentre emergano nuove forme di pubblicità embedded nella risposta generativa, legate a contesti e micro‐intenti.
Un ulteriore fronte è l’e-commerce: AI Mode sta diventando più visual, integrato con Google Shopping Graph (50 miliardi di prodotti), e capace di offrire risposte visive e mosaici di prodotti correlati.
Se un utente chiede abito estivo leggero per donna, l’AI può presentare immagini, prezzi, riferimenti, comparazioni, anche suggerendo direttamente opzioni d’acquisto senza passare per il sito. In questo scenario, l’ottimizzazione del catalogo, la qualità visiva delle immagini, l’accuratezza del feed e i metadati diventano fondamentali per essere visibili all’interno del sistema AI.
Un rischio emerge se Google diventasse walled garden anche nella ricerca: se l’utente non lascia mai Google, il ruolo del sito diventa marginale e le relazioni con il brand, la fidelizzazione diretta (newsletter, iscrizioni) e l’esperienza proprietaria assumono un valore rinnovato. I brand che sapranno costruire asset proprietari (comunità, applicazioni, contenuti esclusivi) non dipenderanno solo dall’algoritmo, ma saranno capaci di intercettare l’utenza anche fuori Google.
Guardando avanti, la spinta verso AI agentico può trasformare Google in un intermediario: l’utente farà la richiesta all’AI, l’AI deciderà quali fonti attivare, quali compiti eseguire, quali siti contattare. Il marketer dovrà pensare a come essere parte di quel processo decisionale interno attraverso API, integrazioni, segnali programmabili piuttosto che soltanto tramite il contenuto.
Scenari emergenti
Mentre Google dipinge AI Mode come un servizio per aiutare l’utente, non si può ignorare che l’introduzione di questo modello cambia radicalmente l’ecosistema dei contenuti. È legittimo chiedersi: quanto libero rimane il web quando l’AI decide cosa mostrare, cosa citare, cosa nascondere? La trasparenza sui criteri di selezione, sulle priorità di risposta, sulla manipolazione dei frammenti di contenuto è ancora debole, e gli editori chiedono che Google renda pubblici i meccanismi.
Il rischio di concentrazione cresce: chi già gode di autorevolezza e visibilità potrà essere favorito come fonte citata nelle risposte AI, amplificando il vantaggio competitivo. I piccoli rischiano di essere esclusi dalla catena della sintesi, perdendo visibilità anche quando producono contenuti validi.
Infine, la rapidità del cambiamento è una sfida: le strategie che funzionano oggi potrebbero essere obsolescenti domani. È necessario adottare un mindset evolutivo: sperimentazione continua, adattamento, monitoraggio, iterazione.
Azioni strategiche per clienti e brand
Davanti a questo panorama, cosa può fare un’agenzia di comunicazione digitale per i propri clienti o un brand che vuole posizionarsi bene? Non esiste una ricetta magica, ma tanto lavoro ed alcune linee guida evolutive.
- Abbracciare la concezione del contenuto come “kit di conoscenza”: testi modulabili, interconnessi, con blocchi di risposta autonoma;
- Investire in qualità, autorevolezza e originalità; puntare su dati originali, case study, esperienze dirette, contenuti unici;
- Integrare segnali semantici e relazionali nei contenuti, con coerenza interna, link tra concetti, contesto globale;
- Ottimizzare il catalogo (per e-commerce) con immagini accurate, feed ben formattati, metadati ricchi, affinché l’AI possa vedere i prodotti;
- Monitorare le metriche AI (impression, citazioni, clic AI) tramite Search Console e altri strumenti, non solo i visitatori tradizionali;
- Segmentare una parte della strategia su interfacce proprietarie (app, newsletter, contenuti esclusivi), in modo da costruire relazioni dirette con il pubblico.
- Prepararsi a integrare l’AI agentico: studiare come offrire API, meta-servizi, interfacce che l’agente Google possa invocare.
- Non abbandonare il SEO classico, ma considerarlo come una base minima: backlink, buona struttura tecnica, performance, mobile. Queste basi restano imprescindibili anche per essere considerati nella selezione AI.
- Mantenere una cultura di sperimentazione e test continuo, dato che molti elementi dell’AI Mode sono in evoluzione rapide e non standardizzate.
Bibliografia
[1] AI in Search: Going beyond information to intelligence – Google Blog: https://blog.google/products/search/google-search-ai-mode-update/
[2] AI Mode in Search gets new agentic features and expands globally: https://blog.google/products/search/ai-mode-agentic-personalized/
[3] AI Features and Your Website | Google Search Central : https://developers.google.com/search/docs/appearance/ai-features
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